Coppa del Mondo di Calcio Qatar 2022. La questione degli stadi


Gli 8 stadi costruiti per questo mondiale solo stupendi. Uno meglio dell’altro. Mi piacciono molto quello a forma di lanterna dorata e quello a forma di tenda beduina. Anche quello fatto con i container ha il suo fascino, però io li avrei dipinti tutti dello stesso colore, magari dorato, come piace ai paesi arabi. Visto così sembra l’immagine del porto cane di Cagliari. Però, che idea! Quando si dice l’arte del riciclo.
Dopo la competizione la maggior parte di essi saranno smontati completamente o almeno ridotti.
Anche lo Stadio Iconico di Lusail, quello dove si è giocata la partita dell’inaugurazione e dove giocherà la finale, sarà ridotto: i sedili in eccesso saranno rimossi e altre parti dell’edificio saranno riutilizzate come spazi comuni dotati di negozi, caffetterie, strutture per l’atletica e per l’istruzione, e persino di una clinica sanitaria. Attorno questo stadio si è costruita una città satellite, che essendo vicina al mare continuerà a vivere anche dopo la Coppa del mondo. Sembra che abbiano pensato a tutto e che non ci saranno grandi sprechi. La FIFA voleva evitare l’effetto cattedrale nel deserto di altri grandi eventi sportivi del passato e sembra che questo effetto sarà scongiurato.
Tutti gli stadi del desertico Qatar hanno le certicazioni eco e green, sono pure dotati di impianti fotovoltaici e di aria condizionata.

Che cose meravigliose costruiscono gli esseri umani con il loro ingegno! Sono riusciti a piegare l’ostilità ambientale del deserto trasformandolo in una moderna città dotata di tutti i comfort. I mezzi e la tecnologia permettono tutto ciò. Non diamolo per scontato, tutto ciò è incredibile e meraviglioso.

Quello che non capisco è perché queste menti ingegnose non abbiano usato tutte le accortezze per preservare la salute e la vita degli operai impegnati nella loro costruzione. Sono morti un numero esorbitante di operai, sicuramente molti di più dei 6500 morti ufficiali, ma sono dati del 2021. Ad un certo punto hanno smesso di aggiornare i dati. Magari all’inizio erano stati più attenti, ma nell’ultimo anno bisognava rispettare le date di consegna, hanno lavorato di più e in condizioni estreme. Non hanno rispettato i tempi necessari al recupero delle forze . La pandemia ha fatto il resto. Quanti avranno lavorato con il Covid? Il quadro è completo. Il risultato è che si contano troppe morti che potevano essere evitate.

La questione del numero dei morti nei cantieri degli stadi del Qatar ha conquistato le prime pagine dei media solo poche settimane fa, quando si stava per iniziare. Il Qatar era già nell’occhio del ciclone per la negazione dei diritti civili negati alle donne, alla comunità Lgtb e la repressione della libertà di espressione.
Qualcuno ha proposto alle nazionali di boicottare il mondiale del Qatar. Qualcun altro afferma che per protesta non lo guarderà.

Credo di non sbagliare dicendo che tutti gli eventi sportivi mondiali del passato sarebbero stati da annullare o boicottare, per un motivo o per l’altro. Non si salvano neanche le Olimpiadi dell’Antica Grecia visto che le donne erano escluse, sportivi e spettatori erano solo uomini. Insomma non si sarebbe mai fatto niente di niente e facendo questo ragionamento mai se ne dovrebbero farne.

Utopia. Si continueranno a fare i Mondiali e Olimpiadi, si miglioreranno alcuni aspetti, però mai si raggiungerà la perfezione. Ci saranno intrighi per scegliere le nazioni, purtroppo ci saranno anche norme e diritti violati. Ci saranno inchieste e persone che giustamente vorranno conoscere la verità. Ci saranno sportive e tifose coraggiose, che rischieranno la vita per approfittare del momento per portare alla ribalta le proteste e l’opposizione contro i regimi. Prima che si spengano le luci e tutto ricominci da un’altra parte.

A noi Occidentali, che viviamo in società dove i governanti sono democraticamente eletti e che li possiamo apertamente criticare, fa bene vedere che nella maggior parte del mondo non è così. Là, fuori i nostri confini, miliardi di persone vivono in nazioni dove si rischia il carcere duro per una maglietta, per un rossetto, o per un taglio di capelli. Sembra incredibile, ma è così. Apriamo gli occhi e non consideriamo ovvi i nostri amati diritti, perché la loro conquista non è definitiva e scontata. Lottiamo per essi e perché sempre più persone possano vivere in libertà. Ci sono tanti modi per farlo.

Io continuerò a sostenere alcune associazioni internazionali per i diritti, ma come già detto continuerò a dare una sbirciata alle partite. Fino ad ora non ho ancora visto una partita intera, solo spezzoni qua e là, di Francia, Spagna, Brasile. Di fronte a certi gesti atletici non posso che fermarmi e applaudire.



Un’estate da cani

Photo by Nancy Guth on Pexels.com

Pensavo che questo giorno non sarebbe mai arrivato. No, non quello delle elezioni. Beh, veramente anche quello. Sarà una coincidenza, ma oggi mi sono svegliata prestissimo e ho pensato che fosse arrivata l’ora di farlo. Ma me avevo voglia? O era un pensiero effimero? Una di quelle cose che ultimamente penso e poi al momento di farla, dopo essermi ritagliata il tempo, faccio tutt’altro? Anche scaricare la lavastoviglie, cosa che potrei fare dopo o magari lasciare questa non amata incombenza a Marito.
No, no. Oggi è il giorno giusto e la lavastoviglie è lì, aspetta che qualcuno mosso a pietà la scarichi, più tardi con calma.
Oggi è il giorno giusto per scrivere e pubblicare un post, dopo due mesi e mezzo di pausa, in un’estate così bollente che mi ha fatto boccheggiare senza tregua e fatto ripetere spesso: mai più senza condizionatore. È vero, abbiamo resistito, non abbiamo bollette astronomiche rispetto ad altri. Ma è stata davvero dura. Ricorderò quest’estate del 2022, come quella mitica del 2003. Con orrore!
Siamo esauriti, psichicamente distrutti dal caldo e dal continuo abbaiare dei cani dei vicini. Giorno e notte. Se non sono quelli di destra, sono quelli di sinistra. Ma i cani dei vicini di destra sono quelli che rompono di più. Latrano e abbaiano per ogni persona, animale o cosa che passa nei paraggi. Viviamo vicino alla sede del 118, le sirene delle ambulanze le sentono da lontano e cominciano ad abbaiare forsennatamente prima che il nostro udito le percepisca. Non vi dico cosa succede quando passa il camion della nettezza urbana. Il povero postino è una vittima immolata a causa delle raccomandate, che necessitano di firma per la ricezione. Dovrebbero essere già morti più volte per le maledizioni dei vari corrieri.
Anche il buon cane dei dirimpettai, talvolta ulula forte dalla disperazione dopo aver sentito per ore e ore queste povere bestie. Ma quello viene zittito dallo sguardo del padrone. Se insiste dice: embé’?. E quello zitto, sconsolato scodinzolando se ne va.
Dico povere bestie perché cinque, cinque!, cani stanno giorno e notte in un terrazzo 4×4. Non vengono mai portati a fare una sgambata. Mai. Sarà per quello che, invidiosi, abbaiano i loro simili felici che tutti i giorni passano sotto il loro naso, a fianco ai loro padroni orgogliosi. Questi cani fortunati, manco si girano a guardarli, forse impauriti di finire come loro. Reclusi, incarcerati in una prigione a cielo aperto.
In questi anni ho sbroccato parecchie volte, minacciando i vicini di denunciarli, ma niente. La vicina dice che è nel giusto, che sono accuditi bene e che i cani hanno diritto di abbaiare perché è il loro modo di esprimersi.
Ho capito, ma anche noi avremo diritto di esprimerci senza che i cani intervengano nelle nostre chiacchierate! Infatti, se dopo cena siamo in cortile e parliamo a bassa voce, ci abbaiano. Così anche se nel cuore della notte vado in bagno o in cucina a bere un sorso d’acqua. Sono sempre all’erta.
Ora è arrivato l’autunno e le finestre sono per lo più chiuse. Ma l’abbaiare dei cani si sente comunque e per dire la verità non sopportiamo più neanche l’abbaiare più flebile. Abbiamo raggiunto il colmo.
Secondo me non è una situazione normale e per questo, appena i miei impegni me lo permettono, faremo una capatina alla sede della polizia municipale. Non ce la facciamo più.

I giorni del coronavirus: Marina Abramovic

Più arte meno Covid-19

Ai primi di marzo, quando sembrava di essere affogati (sigh!) dalle notizie sul coronavirus, girava in Facebook un’iniziativa nata per alleggerire un po’ i nostri animi appesantiti. Chi l’aveva ideato voleva vedere in internet più ARTE e meno Covid-19. A chi metteva un MI PIACE al post gli veniva assegnato un artista del quale doveva pubblicare un’opera a libera scelta.
Di solito non partecipo a questo tipo di iniziative, ma a questa ho partecipato volentieri. Mi è stata assegnata Marina Abramovic. Carneade, chi fu costui? Beata ignoranza! non sapevo chi fosse Marina Abramovic.

Chi era per me Marina Abramovic

Proprio il giorno prima i titoli dei giornali dicevano che era morto il suo ex compagno Uly, ma andando di fretta non avevo letto gli articoli. Il cognome Abramovic mi faceva pensare al magnate russo che alcuni anni fa aveva comprato una squadra inglese e che poi aveva divorziato dalla moglie, per me, povera ignorante, lei era Marina Abramovic. Inoltre pensavo anche che questo Uly fosse il nuovo compagno di Marina Abramovic e che i giornali dessero questa notizia per fare un po’ gossip.

Chi è Marina Abramovic

Ovviamente, la verità è ben altra, lontana anni luce da quello che pensavo. L’ignoranza è una brutta cosa. Molto brutta. Per colmare la lacuna ho fatto un giro su internet e ho scoperto questa artista e le sue strabilianti performance.

Marina Abramovic è una grande artista contemporanea, che si è autodefinita “Nonna della performance artistica” , “Grandmother of performance art”.
Nelle sue performance lei stessa e il pubblico sono coinvolti sia a livello mentale che fisico.

Tra le opere più celebri di Marina Abramović ci sono la serie  Rhythm e le serie Freeing The Body, Freeing The Memory, Freeing The Voice, degli anni Settanta.

La performance Rhythm 5

Nella serie Rhythm l’artista infliggeva degli atti violenti verso se stessa per portare il suo corpo all’estremo limite fisico. Nella performance Rhythm 5 del 1975 la Abramovic rischiò pure la vita. In in una stanza si era distesa al centro di una stella a cinque punte in legno, che venne data alle fiamme. Perse i sensi e solo l’accortezza di chi assisteva alla performance la salvò dal rogo.

La performance Rhythm 0 a Napoli

Un’altra performance clamorosa, Rhythm 0, si tenne l’anno precedente, nel 1974, a Napoli. Marina Abramovic disse agli spettatori che per sei ore sarebbe rimasta immobile come un oggetto e ognuno avrebbe potuto fare del suo corpo ciò che desiderava. Senza essere punito.
Dapprima non successe nulla, ma dopo alcune ore, gli spettatori, con degli oggetti facenti, parte della stessa performance quali coltelli, piume, corde, forbici e persino una pistola, fecero scempio dei suoi vestiti e del suo corpo. Le tagliuzzarono i vestiti e la pelle e qualcuno le puntò la pistola. Fortunatamente altri spettatori intervennero e li bloccarono.
Per Marina Abramovic, nonostante tutto, la perfomance aveva raggiunto il suo scopo: aveva mostrato il peggio degli esseri umani che, se sicuri dell’impunità rischiano di dare sfogo alle peggiori fantasie sadiche, ma c’era un barlume di speranza, visto che alla fine, qualcuno si era opposto.

Marina e Ulay

Ad Amstrerdam nel 1976 Marina Abramović conobbe il performer tedesco Uwe Laysiepen (in arte “Ulay”). Nacque subito un profondo connubio artistico e sentimentale, dando vita a clamorose performance. In Italia è famosa Impendrabilia tenuta alla Galleria Comunale di Arte Moderna di Bologna, nel 1977. I due artisti, completamente nudi, si posero l’uno di fronte all’altro all’ingresso, che era molto stretto e dove gli spettatori erano costretti a oltrepassare per entrare nel museo. La performance, che doveva durare tre ore, venne interrotta da due poliziotti perché ritenuta oscena.
Anche il loro addio divenne un’opera d’arte, dal titolo The Lovers (1988).
I due infatti si recarono agli estremi opposti della Muraglia Cinese, lui partì dal deserto dei Gobi, lei dal Mar Giallo, e dopo una lunga camminata (2500 ck circa) si incontrarono a metà strada per abbracciarsi e dirsi addio.
I due si incontrarono poi nuovamente durante laperformance di Marina Abramović  The artist is presental Moma di New York nel 2010.
Questa performance, è durata tre mesi, durante i quali Marina Abramovic, era seduta ad un tavolo di fronte al quale era stata posta una sedia vuota. Su quella sedia poteva sedersi chiunque, per fissarla negli occhi.
In quella sedia si sono sedute circa 750 persone, lasciandola impassibile, fino a quando non le si è seduto di fronte un uomo dai capelli e dalla barba bianchi era Ulay, ventitré anni dopo il loro addio. Dopo essersi osservati a lungo, con le lacrime agli occhi gli ha stretto le mani e l’ha lasciato andare.

Potrei scrivere ancora e ancora perché le sue performance mi hanno molto incuriosito e lasciato a bocca aperta per lo stupore, e a volte per il fastidio.
Certo è che quando sento il suo nome, penso subito a lei e non al magnate russo!