A scuola non tralascio mai di parlare delle feste. I bambini non sanno perché si fa vacanza, gioiscono nel non andare a scuola. Pochi sanno le motivazioni. Far capire loro il senso delle cose è dura, ma non mi arrendo mai. Qualcosa rimarrà nelle loro teste.
Hanno capito che la libertà è preziosa e non scontata. Hanno capito che molti giovani sono morti per avere le libertà che abbiamo noi. Che alcuni sono stati arrestati, torturati per fargli cambiare idea. Hanno capito il significato delle parole nazismo, fascismo, partigiano, staffetta, torture.
Hanno capito che il 25 Aprile è una festa diversa da tutte. Una festa dove non si festeggia, ma si commemora, che è molto di più che ricordare.
Cari e care combattenti per la libertà, anche quest’anno abbiamo onorato il vostro sacrificio. E questo sempre accadrà.
Ogni tanto penso alle mie tre parole dell’anno che, come ho scritto nel post precedente, per trovarle impiegato un po’ di tempo. Camminare è la parola che sto portando avanti con vero impegno. Indosso le mie scarpette quasi tutti i giorni oppure esco a piedi anche per fare le commissioni più leggere e andare da mia mamma. Ormai nè marito nè mia mamma si meravigliano più se utilizzo meno l’auto. Mia mamma si dispiace solo perché non può darmi il “catering” che a sorpresa ha preparato per noi. Una volta è il brodo, un’altra è la polenta, o le frittelle. Niente di drammatico, torno subito volentieri da lei in auto o al rientro da scuola. Infatti a scuola vado sempre in auto, visto che sono sempre in affanno per rispettare l’orario. Non sono mai in ritardo, spacco il minuto. Da quando tre anni fa hanno anticipato l’orario d’entrata di un quarto d’ora, non riesco a abituarmici. Sarà che ritengo quest’anticipo una schifezza vera e propria, il mio inconscio lo rifiuta. Anzi lo rifiuto consciamente. Spaccare il minuto è una forma di protesta.
Per quanto riguarda gli amici, per via del distanziamento anti Covid non stiamo frequentando nessuno, ma settimanalmente faccio un giro di telefonate ad amici o colleghe che per un motivo o un altro sono in congedo. Potrei fare di più? Non so. È che stare da soli si sta bene, anche se dopo tanto tempo ho bisogno di stare in compagnia. La bella stagione ormai è giunta in Sardegna e i vaccini ci aiuteranno a ritrovare la socialità perduta.
La parola letizia è quella che è più difficile da gestire e da realizzare. Sento che mi impegna maggiormente. Per letizia s’intende il benessere che comprende allegrezza, beatitudine, contentezza, felicità, gaiezza. Certe settimane è stato veramente impossibile provare questo sentimento, anche solo per un giorno, per un’ora, impegnata com’ero con le incombenze scolastiche, non avevo il tempo neanche di respirare. Il Ministero della pubblica istruzione, non pago del fatto che i docenti erano impegnati a gestire la pandemia, ha pensato bene di introdurre sia l’educazione civica in ogni ordine e grado sia la nuova valutazione nella scuola primaria. Quando dico introdurre vuol dire che tutto è ancora sperimentale e che è tutto era fare: individuare obbiettivi, scriverli, condividerli, e renderli pubblici. Questo ha voluto dire: ore e ore di corsi di webinar, corsi di aggiornamento, riunioni tra docenti, che si incontrano per plesso, per ordine, per classi parallele, per disciplina, per classe. Riunioni che si fanno in via telematica, dopo cinque sei ore di lezione. Riunioni che puntualmente finisco con la telecamera e microfoni spenti, Partecipo ascoltando, distesa sul divano perché la cervicale dopo un’ora si fa sentire, e ho imparato che è meglio preservarsi piuttosto che arrivare all’ultimo punto e non potermi più alzare per via della nausea.
Sono stata assente dal blog, ma ho continuato a seguire i miei blog e ne ho scoperti altri che ho iniziato a seguire con vero piacere.
Grazie a tutti quelli che hanno continuato a leggere e commentare. A A presto.
E finalmente ci siamo visti, maestre, genitori e alunni. Ci siamo incontrati nel parco del paese una calda mattina di fine giugno. Sono arrivata puntuale, ero la prima delle insegnanti, ma la maggior parte dei bambini e dei genitori era già arrivata. Nel grande parco i genitori erano disposti in cerchio ben distanziati l’uno dall’altro, qualcuno aveva la mascherina, pochi in verità, poi visto il gran caldo l’hanno tolta. I bambini su una collinetta, ben lontani dai genitori, si divertivano sulla teleferica. Le loro urla e risa riempivano il parco, ma nonostante la lontananza ne riconoscevo le voci. Niente sembrava cambiato: monelli come sempre.
Ho salutato i genitori con un inchino. Eravamo felici di questo incontro. Ho fatto una battuta sull’assembramento dei bambini, ma nessuno aveva paura. Io un filino sì, ma la situazione dei contagi in tutta la Sardegna è sempre a livello di zero o poco più, quindi potevamo permetterci il lusso di rilassarci e goderci l’incontro.
Lentamente mi sono avvicinata alla teleferica, qualcuno ha urlato: La maestra! e mi è venuto incontro festosamente. La gioia era palpabile e volendo avremmo potuto abbracciarci, ma non l’abbiamo fatto, ci siamo trattenuti. Tutti avevano qualcosa da dirmi e le voci si sovrastavano. Non capivo granché, ma andava bene così.
Nel frattempo sono arrivati tutti gli altri, compreso il fotografo. Non volevamo rinunciare all’ultima foto delle elementari. Una foto dove nessuno indossa il grembiule, come negli ultimi mesi di scuola, una scuola senza aule, lavagne e grembiuli. Ma una scuola che nonostante tutto è andata avanti lo stesso.
Dopo la foto, abbiamo fatto un grande cerchio e abbiamo dato via ai saluti formali. Nel mio discorso ho ripercorso cinque anni della nostra vita, il cammino fatto insieme e l’importanza di aver superato con la fiducia e la collaborazione di tutti momenti molto difficili. Il sostegno e l’affetto non sono mai venuti meno, neanche in quei terribili giorni di chiusura, quando nel paese era sceso un silenzio irreale e neanche i cani abbaiavano.
Ad uno ad uno abbiamo chiamato i bambini e consegnato un diploma e un regalo. Poi è arrivato il nostro turno, i bambini hanno letto le poesie dedicate a noi insegnanti e dato il regalo. Gradito per l’eleganza e la semplicità. Le lacrime non sono tardate ad arrivare.
Fortunatamente non è finita così, maestre e bambini ci siamo ritrovati in pizzeria per mangiare la pizza a pranzo, come facevamo due volte al mese nella mensa della scuola, un altro bel regalo dei genitori per i figli e per le maestre.
Al momento dei saluti abbiamo rotto il protocollo sanitario e ci siamo abbracciati e salutati. Che bello! A tre settimane dall’incontro non si rilevano contagi. È andata.
Ieri ho messo a posto la libreria e la scrivania. Ho buttato tanto materiale accumulato in questi anni ciclo scolastico, tanto non l’avrei ripreso in mano mai più.
Le cose più importanti sono ben presenti nel mio cuore e nella mia mente, ma altre ancora più importanti le ho addosso, fanno parte di me della mia esperienza professionale e persole. Incontrare gli altri ci cambia, figuriamoci quanto mi abbia cambiato e plasmato insegnare in questa classe per quattro anni!