Ci siamo incontrati

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E finalmente ci siamo visti, maestre, genitori e alunni. Ci siamo incontrati nel parco del paese una calda mattina di fine giugno. Sono arrivata puntuale, ero la prima delle insegnanti, ma la maggior parte dei bambini e dei genitori era già arrivata. Nel grande parco i genitori erano disposti in cerchio ben distanziati l’uno dall’altro, qualcuno aveva la mascherina, pochi in verità, poi visto il gran caldo l’hanno tolta. I bambini su una collinetta, ben lontani dai genitori, si divertivano sulla teleferica. Le loro urla e risa riempivano il parco, ma nonostante la lontananza ne riconoscevo le voci. Niente sembrava cambiato: monelli come sempre.

Ho salutato i genitori con un inchino. Eravamo felici di questo incontro. Ho fatto una battuta sull’assembramento dei bambini, ma nessuno aveva paura. Io un filino sì, ma la situazione dei contagi in tutta la Sardegna è sempre a livello di zero o poco più, quindi potevamo permetterci il lusso di rilassarci e goderci l’incontro.

Lentamente mi sono avvicinata alla teleferica, qualcuno ha urlato: La maestra! e mi è venuto incontro festosamente. La gioia era palpabile e volendo avremmo potuto abbracciarci, ma non l’abbiamo fatto, ci siamo trattenuti. Tutti avevano qualcosa da dirmi e le voci si sovrastavano. Non capivo granché, ma andava bene così.

Nel frattempo sono arrivati tutti gli altri, compreso il fotografo. Non volevamo rinunciare all’ultima foto delle elementari. Una foto dove nessuno indossa il grembiule, come negli ultimi mesi di scuola, una scuola senza aule, lavagne e grembiuli. Ma una scuola che nonostante tutto è andata avanti lo stesso.

Dopo la foto, abbiamo fatto un grande cerchio e abbiamo dato via ai saluti formali. Nel mio discorso ho ripercorso cinque anni della nostra vita, il cammino fatto insieme e l’importanza di aver superato con la fiducia e la collaborazione di tutti momenti molto difficili. Il sostegno e l’affetto non sono mai venuti meno, neanche in quei terribili giorni di chiusura, quando nel paese era sceso un silenzio irreale e neanche i cani abbaiavano.

Ad uno ad uno abbiamo chiamato i bambini e consegnato un diploma e un regalo. Poi è arrivato il nostro turno, i bambini hanno letto le poesie dedicate a noi insegnanti e dato il regalo. Gradito per l’eleganza e la semplicità. Le lacrime non sono tardate ad arrivare.

Fortunatamente non è finita così, maestre e bambini ci siamo ritrovati in pizzeria per mangiare la pizza a pranzo, come facevamo due volte al mese nella mensa della scuola, un altro bel regalo dei genitori per i figli e per le maestre.

Al momento dei saluti abbiamo rotto il protocollo sanitario e ci siamo abbracciati e salutati. Che bello! A tre settimane dall’incontro non si rilevano contagi. È andata.

Ieri ho messo a posto la libreria e la scrivania. Ho buttato tanto materiale accumulato in questi anni ciclo scolastico, tanto non l’avrei ripreso in mano mai più.

Le cose più importanti sono ben presenti nel mio cuore e nella mia mente, ma altre ancora più importanti le ho addosso, fanno parte di me della mia esperienza professionale e persole. Incontrare gli altri ci cambia, figuriamoci quanto mi abbia cambiato e plasmato insegnare in questa classe per quattro anni!

Arrivederci bambini e bambine. Vi voglio bene

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Sono tornata a scuola

Martedì sono tornata a scuola. No, non con i bambini. Magari! Noi insegnanti siamo tornate per sistemare le aule. La maggior parte delle colleghe aveva già iniziato le operazioni lunedì, per cui la scuola aveva già ripreso in parte le sue sembianze.

Non era come a fine marzo, quando sono andata a scuola a recuperare i tablet e i computer da distribuire agli alunni e alle colleghe. A marzo la giornata grigia e fredda. Insieme alla bidella, camminavamo negli anditi che erano senz’anima. Non era la mia scuola, quella che conosco da 25 anni. Anche l’odore era diverso. Si sentiva un odore acre di disinfettante, un prodotto che non era mai stato usato prima. Avevo pensato di affacciarmi alla mia aula, ma all’ultimo momento non avevo avuto coraggio. Così ero andata via attraversando il cortile pieno di foglie e di tristezza.

Tante volte sono tornata nei paraggi della scuola chiusa e tutte le volte ho buttato l’occhio oltre la cancellata per annotare lo sbocciare dei fiori delle aiuole e l’erba infestante che, libera, occupava spari mai assegnati. Un giorno avevo avuto la sorpresa di trovare il prato rasato, ho fatto una foto e l’ho condivisa nel gruppo delle maestre. Tutte hanno visto l’erba infestante sul cemento. Nessuna ha notato il prato rasato.

Martedì, ho trovato le bidelle intente a buttare secchi d’acqua nel cortile, con energici movimenti lavavano le scale esterne e l’ingresso. Osservare quella vitalità mi ha riportato indietro nel tempo a quando queste scene erano talmente normali che neanche ci badavo. Guardarle metteva allegria. Era lei, la mia scuola. Le porte e le finestre erano tutte aperte e si sentiva un odore di pulito.

Dopo tanti mesi sono tornata nella mia aula. L’ho osservata ben bene, di lì a poco avremmo iniziato a togliere i cartelloni dai muri, restituito il materiale preso in prestito e creato piccole montagne di libri sui banchi con su scritto il nome di ciascun alunno.

Lentamente mettevamo a posto libri e quaderni, leggevamo bigliettini che ci erano sfuggiti durante le lezioni, ridevamo o facevamo finta di arrabbiarci scoprendo quanto erano distratti i nostri alunni durante le spiegazioni o correzioni. Mettevamo a posto i libri, ma in realtà mettevamo a posto cinque anni di vita.

I bambini ed io avevamo lasciato la scuola piangendo, consapevoli che non ci saremmo visti per un lungo periodo e che la nostra vita sarebbe stata stravolta. Tutti, me compresa, eravamo convinti che avremmo finito l’anno scolastico in classe, almeno due o tre settimane. Invece è andata come andata.

Le lezioni sono terminate, gli scrutini sono stati pubblicati. Ma non è finita qui, questa settimana ci vedremo tutti insieme, insegnanti, alunni e genitori. Stiamo tutti contando le ore che ci separano da questo primo e ultimo incontro.

I giorni del corona virus: Didattica a Distanza, Codice Rosso, Codice Rosa e Didattica di Vicinanza

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Dal 18 maggio, in Italia siamo entrati nella fase 2 dell’emergenza sanitaria, le misure si sono allentate e possiamo riprendere con cautela, la nostra una vita sociale. Abbiamo bisogno ancora di mascherine e gel, e di mantenere ancora le distanze.

In Sardegna la situazione è sempre stata sotto controllo. Abbiamo avuto pochi casi, circoscritti nella fase iniziale, ahimè, ad alcune case di riposo o pronto soccorso. Ora la situazione è molto positiva, da una settimana registriamo zero contagi e zero morti, pochi i ricoverati, pochissimi sono i malati in terapia intensiva.

Lentamente stiamo ripristinando tutto e fra poco si potrà riprendere a viaggiare in aereo, si sta predisponendo un protocollo affinché il turismo non venga messo ko e chi vuole, anche quest’anno, possa godere delle bellezze della nostra Isola. Non entro nel merito delle polemiche tra governatori e amministratori delle varie regioni. Dico solo che siamo tutti stanchi, cerchiamo di non sprecare le poche energie rimaste.

Per il momento non faccio niente di particolare, a fine serata dopo l’ennesima videoconferenza con la scuola, mi concedo delle lunghe passeggiate in solitaria, giro con la mascherina in tasca. Se incontro qualcuno che conosco mi fermo a parlare mantenendo le distanze. Nel mio vagabondare vedo che qualcuno non è proprio preciso preciso nel seguire le indicazioni sanitarie, ma siamo in una situazione in cui ce lo possiamo permettere. Esco per rilassarmi non per giudicare il prossimo.

Queste passeggiate sono salutari, oltre che a riattivare il metabolismo, mi fanno staccare lo sguardo dai vari dispositivi tecnologici siano pc, tablet e smartphone. Che stanchezza! Sollevare lo sguardo verso l’orizzonte e far riposare gli occhi è un vero sollievo. Dovrei diminuire le ore di connessione, ma la DAD, Didattica a Distanza, non me lo consente. Incombe la fine dell’anno scolastico e, come sempre, il lavoro non diminuisce affatto, aumenta a dismisura.

La mia DAD, rispetto alla fase iniziale decritta nel post dedicato, che trovate qui, si è evoluta notevolmente. Infatti la scuola alla fine di aprile con Google Education, ci ha permesso di attivare le Classi di Gsuite. Ne ho approfittato subito e ora con una disinvoltura mai immaginata, utilizzo le videoconferenze anche con i bambini, che in tutta sincerità nei primi giorni di quarantena ho giurato che non avrei mai fatto.

Fortunatamente l’essere umano di fronte ai problemi cerca nuove soluzioni, così di davanti alla “depressione” dei miei alunni ho voluto fare di più, quindi per tre giorni la settimana ci colleghiamo dal vivo per un’ora e mezzo, con grande gioia di tutti, compresa la mia.

È ovvio che la didattica in presenza sia migliore di quella a distanza, però io ringrazio di aver avuto la possibilità di mantenere i contatti con gli alunni e fare in modo che questi mesi non fossero completamente persi. Non ero pronta, come la maggior parte dei docenti, non avevo iniziato alcun percorso didattico che includesse anche attività online.

In pochissimi mesi mi sono dovuta inventare una scuola diversa. Ho fatto tante cose, abbiamo fatto tante cose, ho sbagliato tantissimo e ho corretto il tiro. Non mi sono mai data per vinta. È stato un grande lavoro collettivo, che ha richiesto enormi sacrifici da parte di tutti: insegnanti, genitori e bambini, le scuole e anche il ministero. Non è stato facile per nessuno. Tutti abbiamo lavorato tanto e tutti ci sentiamo frustrati. Potevamo fare di più? Sicuramente. Le scuole, le maestre, i professori potevano fare di più? Dovevano fare di più?

Tante critiche sono piovute addosso ai docenti e in certi momenti ho rasentato la depressione per l’incomprensione dei media e delle famiglie. I post di alcune blogger che seguo da tempo mi hanno fatto veramente male. Non ho mai commentato, non avevo voglia di sprecare le energie. Osservo sempre il principio del risparmio energetico delle forze psichiche e fisiche.

Anche noi docenti eravamo chiusi in casa con pochi mezzi, senza vedere nessuno, parlavamo con amici, parenti e colleghi solo al telefono. Anche gli insegnanti  erano alle prese con la DAD dei figli e sono impazziti per la marea di compiti, richieste che piovevano da piattaforme diverse. Molte mie colleghe sono esaurite, ma non è un modo di dire. Non sono semplicemente stanche, semplicemente non hanno più un goccio di energia. Davanti ad una circolare ministeriale o del dirigente, piangono calde lacrime e solo la promessa che le aiuterò si rasserenano un poco.

Io non sono esaurita, ma sono molto stanca e non vedo l’ora di mettere un punto fermo a quest’anno scolastico. Da subito non ho avuto grandi obiettivi: non ha avuto la pretesa di terminare il programma, non mi ha spaventato il fatto che avessi una quinta. Non ho mai pensato al programma, ma ho sempre pensato ai bambini che avevo davanti e alle famiglie. Il mio obiettivo è stato sin dall’inizio quello di essere presente e stare vicino alle famiglie, con qualunque mezzo e modo.

La mia classe ha un livello socio-economico medio alto. Certo è una situazione ottimale, ma i bambini della mia classe non sono un grafico dell’ISTAT, sono bambini veri, non sono numeri o sigle.

Nonostante questa felice situazione di partenza, all’inizio della quarantena alcuni bambini vivevano delle difficili situazioni familiari pregresse.  Non sempre i rapporti tra genitori dei miei alunni erano quell’idillio che veniva esibito nei momenti conviviali. Dietro la bella e costosa facciata ci sono spesso vite familiari complicate, che si sono acuite nel periodo della quarantena.  Una famiglia in particolare mi ha tolto il sonno, e nonostante la quarantena ho avuto modo di mantenere  contatti dal vivo, non solo telefonici e virtuali. E ho potuto constatare che il livello di conflittualità aumentava di giorno in giorno, fino ad avere percezione che c’erano gli estremi per far scattare i provvedimenti della legge Codice Rosso, visto la situazione di massimo pericolo. Invece del Codice Rosso, purtroppo è scattato il Codice Rosa.

La tenuità colore non inganni. Il Codice Rosa si applica quando una vittima arriva al pronto soccorso con delle lesioni dovute a violenza, il Codice Rosso è applicato dal giudice e può prevenire il Codice Rosa con l’allontanamento del soggetto violento dal nucleo familiare.

Il Codice Rosa vuol dire fratture, denti rotti, bambini testimoni, avvocati, dottori, giudici, psicologi e assistenti social, relazioni da scrivere. Fortunatamente ci siamo risparmiati i titoli di giornali e i giornalisti delle tv locali.

Sono stata sempre vicina a tutte le famiglie e mi sono adoperata affinché nessuno si perdesse. Ho dato a tutti quello che ritenevo avessero bisogno: quell’incoraggiamento a non arrendersi anche nei momenti difficili e tristi.

Con orgoglio posso dire: nessuno si è perso. È questa la vittoria mia e dei bambini. È questo il significato più vero della mia Didattica a Distanza: una didattica di vicinanza.

Foto di Michal Jarmoluk da Pixabay