
Più scrivi e più ti viene voglia di scrivere, meno scrivi e meno hai voglia. Avrei avuto da scrivere tutti i giorni, purtroppo mi sono lasciata sopraffare dalle incombenze quotidiane e dai lavori arretrati, che non riesco mai a smaltire. Ho sempre due mazzi di compiti da correggere sulla scrivania, non sempre gli stessi però.
Dovrei diventare più furba, far scrivere meno i miei alunni. Però quello che ho scritto per me vale anche per loro: più scrivono e più imparano a scrivere i loro pensieri.
E’ una faticaccia, ma ne vale la pena. I miei alunni sanno scrivere, leggere bene e capire un testo adatto alla loro età, fanno pochi errori d’ortografia. Ogni tanto qualche orrore di ortografia scappa per la foga di scrivere, non è facile controllare ortografia e sintassi mentre i pensieri fanno il girotondo.
Sono una maestra un po’ all’antica, nei vari decenni non ho abbracciato alcuna moda didattica. Ho frequentato corsi di aggiornamento, letto libri e mi sono sempre confrontata con le colleghe. Ho creato una mia didattica, sono severissima e ma comprensiva. I miei alunni hanno libertà e possono sgarrare. Entro certi limiti. Possono sbagliare e recuperare. Possono avere delle pause di ritmo, ma un certo punto, se la pausa salutare diventa troppo lunga, intervengo inflessibilmente. E sono dolori per loro, ma anche per me. Non mi piace dover intervenire con severità.
Non faccio del mio meglio, ma sempre il mio massimo. Devo avere tutto sotto controllo. Ce lo richiedono le varie leggi e disposizioni. Quando chiedono e la maestra dov’era? Io rispondo: ero lì e ho visto tutto, oppure ero lì e non ho visto perché guardavo un altro bambino.
È un metodo dispendioso, infatti tutte le spie sono accese. Ho finito le riserve e mi ritrovo senza energia. Non è una questione solo legata al periodo dell’anno scolastico,al Natale, o alla situazione in famiglia. Forse è legato a tutto ciò, ma il fatto vero è che i miei alunni sono in quinta, li sto accompagnando al grande salto che li farà atterrare alle scuole medie. Il periodo di transizione riguarda anche le maestre, riguarda anche me.
– E tu maestra che farai, ricomincerai con i bambini di prima? Avrai mio figlio, figlia nipote, vicina di casa? Ti prego prendila con te!
Mi chiedono speranzosi, ma io sogno la fuga. Sogno la fuga dalla mia scuola, dal mio paese, dall’insegnamento. Dopo trent’anni e passa dietro la cattedra, dopo cinquant’anni di scuola, dall’asilo in poi non sono sono mai uscita dalla scuola: da alunna a insegnante. Posso sognare e desiderare di lasciare il mondo della scuola?
Fare la maestra è stato il mio sogno da bambina, da quando insegnavo alle bambole, da quando giocavo a fare la maestra. L’ho realizzato, l’ho portato avanti con grandi successi, sono benvoluta. Sono profeta in patria. Non è da tutti. Piace il mio metodo senza fronzoli. Si va dritti alla meta. Sono benvoluta e stimata. Sono davvero soddisfatta, ma stremata.
C’è vita per me oltre la scuola? Sogno di trascorrere i fine settimana serenamente, senza l’assillo dei compiti da correggere, le lezioni da preparare, relazioni da stendere, voti da caricare sul registro elettronico. Sogno di non dovermi preoccupare contemporaneamente di venti alunni, che viaggiano a ritmi diversi: il velocissimo e il lentissimo. Sogno di non dover fare la maestra poliziotta, la maestra psicologa, la maestra animatrice, la maestra consulente familiare.
Ho capito che non mi bastano più le vacanze per riprendermi. Se potessi permetterlo mi prenderei un anno sabbatico e farei il giro del mondo, anche a piedi, far stancare il corpo e far riposare il cervello, che è sempre acceso: giorno e notte. Chi non sarebbe stremato?
Tuttavia, ancora riesco a portare avanti il mio lavoro con il sorriso e la mia solita ironia, nel mentre però dentro di me una Mafalda urla: -BASTAAAA!
Un folletto prepara dei piani alternativi per i prossimi anni, sperando di non sclerare troppo nel frattempo che conto i giorni che portano alle vacanze.