5 dicembre. Vita da maestra 1.

La mia vita per la scuola. Passato, presente e futuro

Nei giorni scorsi ho compiuto venticinque anni d’insegnamento. Un’enormità di tempo, non so nemmeno io come ho fatto a raggiungere questo traguardo. Cinque lustri sono tanti, tantissimi se poi si conta che avevo tre anni quando sono entrata alla scuola materna e che da allora non ne sono più uscita, si capisce che la frase iniziale non è un modo di dire: è la mia realtà. La mia vita per la scuola. Quaranta anni e più . Non sono mai passati tre mesi di fila senza che  non mettessi piede in una scuola, o alunna o insegnante.

Trapassato remoto

Non sono mai stata un’alunna brillante, da dieci e lode per intendersi. Ho sempre veleggiato a metà classifica. Adoravo andare alla scuola materna, alle elementari ero brava e diligente. Dalle medie alle seconda superiore, ho galleggiato con la sufficienza e ho avuto modo di ripetere due classi, giusto perché mi piaceva tanto il programma, ironicamente parlando s’intende. Se non fosse stato per mia madre non avrei continuato a studiare, persa com’ero nella crisi adolescenziale. Non mi sarei mai diplomata. Mi sarei ritirata due o tre volte all’anno. Invece lei ad insistere voleva i figli diplomati. Quanti pianti si è fatta per mio fratello che a mala pena ha raggiunto la licenza media. Meno male che noi due femmine abbiamo studiato e ci siamo diplomate. Aveva ragione! Lo studio mi ha cambiato la vita. Anche se per me studiare è sempre stato faticoso, ho dovuto rinunciare agli hobby, allo sport.  Ero lenta e per di più perdevo un sacco di tempo nel viaggio. Per arrivare a scuola a Cagliari mi alzavo alle sei del mattino e rientravo a casa attorno alle tre e mezza, se tutto andava bene. Pranzo e giù sui libri e quaderni. Fino all’ora di cena, poi crollavo, leggevo libri per passione ma i libri di scuola non li toccavo. Nei primi anni di superiori non so come ho fatto a non mettermi nei casini. Li ho solo sfiorati. Per dire non ho mai visto una canna, nessuno mi ha offerto di provare. Ancora oggi non ne ho mai vista una dal vero, solo in foto. E sì che ne ho frequentato di gente incasinata. Un tossico un giorno mi disse che non si chiedeva di provare a una che aveva la faccia come la mia. L’ho preso come un complimento. Gli ultimi due anni di magistrali invece li ho fatti alla grande. Mi si era aperta la mente ero consapevole di quello che ero e che nonostante la fatica, studiavo  con passione e mi piaceva tanto. Ho recuperato tutto il tempo perso. Mi sono diplomata con un bell’otto, peccato per il compito di matematica era stato pessimo.

Passato Remoto

Subito dopo il diploma ho avuto modo di frequentare il corso per insegnanti di sostegno. Le corsiste eranoquasi tutte accozzate: la crema di Cagliari e dintorni. Io e un’altra ragazza ci guardavamo e senza parole ci chiedevamo come fossimo arrivate lì. Intanto avevo pure dato un concorso per la scuola materna, così giusto per provare l’effetto che faceva. Sapevo che alcune lo avevano provato tante volte, ma non riuscivano a passare gli scritti. Io e una compagna di scuola per farci consigliare eravamo andate dal nostro ex professore di pedagogia, che onesto, ci diede lista di una decina di libri e ci disse che non avevamo bisogno di seguire delle lezioni. Se avevamo bisogno di qualcosa potevamo tornare da lui. Non sono mai tornata. Diedi lo scritto e lo passai con il minimo, ma ero dentro! Incredibilmente quelle che avevano pagato fior di milioni ai direttori per la preparazione  e che erano arrivate con i rotolini dei temi per copiare non passarono! Poi l’orale lo passai bene,  il corso mi stava dando ottime basi.

Dopo il corso iniziai subito con le supplenze annuali, non ho mai dovuto aspettare le telefonate per le supplenze di un giorno: la specializzazione per il sostengo era una chiave che apriva le porte all’insegnamento. Ecco perché c’era gente disposta a svenarsi. Io manco lo sapevo, ero proprio fuori da questi giri. Diedi due concorsi magistrali e dopo solo sei anni di supplenze passai di ruolo! Vivevo alla giornata. Non avevo molto tempo di capire cosa stessi facendo: c’era un concorso? Lo davo e lo passavo, c’era un corso d’aggiornamento? Lo frequentavo. Mi dovevo spostare di provincia, che problemi c’erano? Nessuno e via: nel Nuorese, in Marmilla e perfino in una frazione minuscola di Sassari.

I primi anni sono stati davvero incredibili, sia per me che per la scuola. C’era fermento un entusiasmo palpabile. La scuola elementare stava gradualmente ma consapevolmente abbandonando i vecchi programmi e ordinamenti. Erano gli anni della sperimentazione dei moduli, tre insegnanti in due classi, si lasciava al passato la maestra superstar (citazione dai manuali), il bambino non era più considerato un vaso da riempiere, ma diventava protagonista della sua istruzione. I bambini in situazione di handicap non dovevano essere più relegati nei sottoscala, ma stavano in classe con gli altri, che collaboravano alla loro educazione e istruzione. La convivenza democratica nella classe era il principio massimo di ogni grado d’istruzione. Per la prima volta si insegnava la lingua straniera e c’era la possibilità di scegliere il francese, l’inglese, il tedesco e lo spagnolo. Non era importante la lingua che s’imparava, era importante capire che un’altra lingua ti metteva in contatto con un’altra cultura, diversa dalla tua! Per la prima volta si riconosceva che un insegnante non doveva solo insegnare, ma anche programmare l’azione didattica con tutti gli altri docenti per due ore alla settimana. Ogni maestra si specializzava in un ambito: scientifico-matematico, linguistico-espressivo, antropologico e lo portava avanti. Cose oggi normali, scontate, che invece ci sono costate ore ore ore di aggiornamento, discussioni, litigate e ripacifacazioni tenutesi solennemente davanti ad una tazzina di caffé, offerta gentilmente dalle bidelle. Che anni scoppiettanti!

To be continued. Stay tuned!

 

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